Racconti e Poesie del weekend "Due gelatai del tempo che fu"

Racconti e Poesie - Oggi Francesca Messina ospita il racconto di Benedetto Di Paola di Rocca d'Evandro

Racconti e Poesie del weekend "Due gelatai del tempo che fu"
di autore Francesca Messina - Pubblicato: 09-06-2024 17:50 - Tempo di lettura 1 minuti

 

Due gelatai del tempo che fu

Anni Cinquanta. Nelle calde giornate estive, quasi al tocco di mezzogiorno, con  il sole che tagliava le pietre, una nuvola di polvere rincorreva un omino a cavallo di un vecchio Motom rumoroso e arrugginito. Era ‘gliu g’latar’ (il gelataio). Quasi calvo. Radi capelli gli svolazzavano sulle orecchie e sulla nuca. Sopracciglia nere, folte e polverose nascondevano due occhietti da furetto.

Sul portapacchi del suo Motom aveva sistemato una cassetta di ferro, una di quelle delle munizioni americane, in cui coesistevano, in una strana promiscuità, quattro bottiglie di sciroppo colorato al sapore di amarena, di limone, di menta e di mandorla, un sacco di tela grezza traboccante di schegge e di spolette e, avvolto in un altro sacco tagliato da un lato, un parallelepipedo di ghiaccio ricoperto di ruggine e di polvere.

-Un bicchiere di grattachecca per un chilo di schegge o per una spoletta! Il gusto? A scelta! – gridava con voce stridula appena emergeva dalla nuvola di polvere che si andava diradando.

Estraeva da una tasca un attrezzo di acciaio (o di alluminio, non ricordo) simile alla pialla del falegname, lo strofinava sul blocco di ghiaccio, scaraventava il ghiaccio grattugiato nel bicchiere proteso e vi spruzzava sopra, sempre con molta parsimonia, qualche goccia di sciroppo. Un lampo.

-Sotto un altro! -. Si affrettava a dire.

Noi, i nove compagni di via Casamarina, aspettavamo con ansia in fila sotto al sole cocente, in una mano il bicchiere nell’altra il manico del secchiello pieno di schegge.

A fine operazione risaliva a cavallo del Motom e scompariva, inseguito dalla stessa nuvola di polvere che aveva provvisoriamente parcheggiata.

Per l’intera settimana, scalzi e con un secchiello in mano, andavamo per i campi arati a ‘maggese a sole’ alla ricerca di altre schegge.

-Un bicchiere di grattachecca per un chilo di schegge … -.

Quelle parole tuonavano nel nostro cervello e attutivano il dolore dei piedi grattugiati dalle zolle riarse e irte.

A fine agosto, come ogni anno, ‘gliu g’latar’ con il MOTOM svaniva insieme all’ultima nuvola di polvere … poi non tornò più.

 

Anni Sessanta.

Nei pomeriggi estivi, a cadenza settimanale, quando regnava il silenzio del riposo, un furgone bianco adattato a gelateria ambulante incominciò a percorrere le strade e le stradine della campagna roccavandrese (almeno quella sulla riva destra del ruscello Peccia, credo).

Lungo le fiancate del furgone, al di sotto della linea dei finestrini, spiccavano l’immagine stilizzata di un cono-gelato e la scritta blu in corsivo, bella grossa, ‘Gelati De Luca – Cassino’, la stessa dell’insegna sul tettuccio; l’altoparlante fissato sul cofano diffondeva a tutto volume le canzoni di ‘Un disco per l’estate’ interrotte, di tanto in tanto, da una voce registrata che annunciava:

-Gelati! Avvicinatevi! Fa caldo? Rinfrescatevi con un gelato De Luca. Gelati! -; all’interno del furgone erano sistemati quattro pozzetti colmi di gelato, uno per ogni gusto (crema, cioccolato, limone, stracciatella) e tre pile di cialde coniche di diversa grandezza (da 50, 70 e 100 lire) per venire incontro alla disponibilità economica dei clienti. Per chi non riusciva a raschiare neanche un centesimo nelle tasche o nel ‘portazecchino’ (piccolo portamonete con chiusura a zip) il gelataio proponeva il baratto di un gelato con due/tre uova, fresche di giornata, possibilmente.

Il conducente-speaker-gelataio era un signore sulla cinquantina. Statura media. I capelli neri ma con i segni di una incipiente brizzolatura, cosparsi di brillantina ‘Linetti’ o ‘Palmolive’ al profumo di lavanda, pettinati all’indietro (un ricciolo solo penzolava sulla fronte) davano risalto alla faccia da luna piena.

Si fermava lungo la strada e ai crocicchi, ovunque vi fossero gli affezionati clienti ad aspettarlo (anche uno solo), si alzava dal posto-guida e, dall’interno del furgone, si spostava al reparto gelateria, il suo regno. E lì, con meccanica naturalezza, incominciava a confezionare i coni-gelato, uno dopo l’altro, accompagnando ogni spatolata con un ampio sorriso.

In quegli anni di ‘boom’ economico e di profonde trasformazioni socio-economiche-culturali anche le famiglie contadine più disagiate incominciarono a maneggiare qualche lira così che pure qualche vecchietto osava concedersi il lusso di un gelato (!) … da assaporare lentamente, attento che il freddo non risvegliasse quel diavolo di nervo scoperto dell’ultimo dente ormai consunto.

Il tempo, come si dice, è un divenire … della gelateria e del gelataio ambulanti si persero le tracce.

Benedetto Di Paola (Rocca d'Evandro)

 

 

 





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