Opinioni - Riccardo Pignatelli: "Da noi a volte il cambiamento passa per innovazione, ma di fatto non è altro che un arroccamento sugli interessi da tutelare, un soddisfare di pretese corporative e di promesse fatte"
di Riccardo Pignatelli
L’art.323 del Codice penale è stato definitivamente abrogato con il secondo passaggio alla Camera dei Deputati del cosiddetto “ddl Nordio”, e con esso dichiarato estinto il precedente reato di abuso di potere in atti d’ufficio.
Riguardava in particolare la responsabilità del pubblico funzionario, come testualmente recitava lo stesso articolo :“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale o per arrecare ad altri un danno ingiusto, abusa del suo ufficio, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione fino a due anni. “
D’ora in poi non sarà più così, anzi si estingueranno anche gli effetti delle sentenze di condanna già emesse al riguardo a carico di chi è stato giudicato responsabile di tale reato.
E’ stato detto che l’abrogazione dell’art. 323 del codice penale è stata dettata dalla necessità di consentire soprattutto ai sindaci di poetr firmare gli atti dovuti senza più la scure dell’eventuale incriminazione del reato di abuso di potere e che la sanzione specifica per comportamenti rientranti nella fattispecie del suddetto reato vanno d’ora in avanti perseguiti sul piano della giustizia amministrativa e civile per l’eventuale risarcimento del danno.
Certamente, ma tale assunto vale per i soli cittadini che si possono permettere le spese di giudizio ed i tempi lunghi della giustizia civile; per tutti gli altri e soprattutto per i meno abbienti non resta invece che subire e tacere in caso di abuso di potere da parte di pubblici funzionari o amministratori locali.
In questo breve corsivo, però, non vogliamo disquisire di sottili tesi giuridiche pro o contro l’abolizione di tale reato, che lasciamo a chi ha specifica competenza in materia, ma avvalendoci del diritto di critica ( questo ancora non abolito) intendiamo svolgere qualche breve riflessione sull’esito futuro di tale “reformatia” in ambito pubblico e sociale.
E’ noto ai più che siamo in un Paese in cui la formazione delle leggi, pur rispettando appieno le norme di diritto pubblico e costituzionale, prescinde il più delle volte da una preventiva ricerca sul campo delle cosiddette buone pratiche,come avviene nel sistema inglese, ma muove più direttamente da esigenze sentite da parti sociali, politiche, lobby, ecc..., in relazione a vari intressi, talvolta corporativi o di parte, salvo poi negli anni successivi mettere in discussione molte delle riforme spacciate per grandi innovazioni ( Riforma delle Province, Riforma del Titolo V, ecc...) per gli esiti negativi che esse hanno determinato nella realtà dei fatti e, (caso veramente tutto italiano) in talune circostanze la critica parte anche dagli stessi soggetti che le hanno perorate.
Siamo in un Paese in cui le parti politiche, salvo qualche ecezione, non solo godono di immunità e di grande autoreferenzialità, ma anche del potere di sottrarsi a qualsiasi giudizio di responsabilità circa il risultato ottenuto rispetto alle scelte effettuate ( vedasi per esempio le politiche dei bonus e superbonus e gli effeti a lungo termine che esse hanno avuto ed avranno sui futuri bilanci dello Stato, con debiti che dovranno essere pagati per decenni da più generazioni) .
Panta rei , si potrebbe dire, tutto scorre e in una società liquida e consumistica come la nostra il cui sipirito vitale è da tempo deceduto sopraffatto dalla malattia oscura di una cultura sempre più social e nichilistica, priva di grandi valori di riferimento, rispetto alla quale anche essere cittadino è un peso divenuto insopportabile, perchè richiederebbe per ciascuno l’impegno civile di cittadinanza attiva verso chi governa e le priorità che decide, i partiti e le maggioranze possono fare tutto, a prescindere dalle conseguenze che si presenteranno poi.
Tornando all’abuso di ufficio, adesso che sono stati tranquillizzati i sindaci ( quelli favorevoli) ed i colletti bianchi, quei dirigenti e quei funzionari poco memori della cultura di cosa sia l’esercizio di una pubblica funzione, ma più inclini ad esercitare una potestà amministrativa non sempre rispondente alle regole di buon andamento e di concreta partecipazione al procedimento dei soggetti interessati, occorre porsi una domanda: cosa succederà ogni volta che verrà superata la linea di demarcazione dell’atto dovuto rispetto a quello emanato in contrasto con il diritto dei terzi?
Non voglio personalmente rispondere direttamente a questo, mi permetto però di riassumere brevemente, chiedendo venia per la sintesi, quello che hanno detto in proposito due esperti di diritto contrari all’abolizione, l’ex Procuratore Antimafia, oggi parlamentare del M5S, on. Cafiero De Raho : “Questa abrogazione è gravissima, l’abuso di ufficio è un reato spia sia per il sistema della corruzione sia per le infiltrazioni mafiose....È una legge che favorisce l’illegalità del potere pubblico, da un lato protegge i colletti bianchi e i mediatori di corruzione, dall’altro silenzia la stampa....le nuove leggi smantellano il sistema di contrasto alla corruzione”; in aggiunta lavv. Enrico De Castiglione partner Diz. Legale “ ritengo che il reato di abuso d’ufficio.......... resti un pilastro a tutela dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, ma anche un fondamentale presidio affinché il cittadino non sia leso nei suoi diritti da eventuali comportamenti illegittimi posti in essere dai pubblici ufficiali (o incaricati di pubblico servizio).
Il punto, quindi, è che l’abrogazione di fatto di tale reato non risolve ex sè il problema di una maggiore tutela del cittadino nei confronti dei pubblici poteri, allorquando questi sono esercitati fuori dai canoni di un corretto esercizio delle funzioni pubbliche, semmai lo complica eliminando un sostanziale contrappeso all’abuso di potere del pubblico funzionario.
Quello che manca nel nostro sistema di formazione delle leggi è come sempre uno studio preliminare multidisciplinare ( filosofico, politico, storico, sociologico e giuridico) del contesto sociale in cui il Legislatore si muove, cosa che rende sempre meno aderente la normativa ordinamentale alla realtà che si vuole regolare.
Quando questo avviene, il risultao che si otterrà sarà è solo quello di mettere l’ennesima bandierina di una promessa elettorale realizzata.
I partiti attuali purtroppo si rapportano sem pre più ai propri elettori ed ai loro desiderata che alla società intesa come comunità di amministrati.
Da noi a volte il cambiamento passa per innovazione, ma di fatto non è altro che un arroccamento sugli interessi da tutelare, un soddisfare di pretese corporative e di promesse fatte.
L’Ue infatti ci stimola quasi giornalmente a fare le cosiddette riforme necessarie, quelle innovative e strutturali per l’economia e la crecita, per la legalità e la trasparenza, per l’eguaglianza sociale e contro le discriminazioni, ed anche per la semplificazione dei rapporti tra cittadini ed istituzioni, al fine di favorire il benerssere soprattutto delle future generazioni, ma l’agenda dei partiti, sempre salvo le dovute eccezioni, resta sempre quella delle future elezioni.
Gli Inglesi quando sono in difficoltà dicono ;” Dio salvi la Regina!”, da noi non ci resta che dire Dio salvi gli Italiani!
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