Opinioni - La distanza tra queste due immagini – quella del Papa circondato da un intero esercito sanitario, e quella di un giovane che muore per una semplice TAC non eseguita – non è solo tecnica. È morale. È politica. È spirituale
Caro Direttore,
nei giorni scorsi abbiamo appreso che Papa Francesco, durante la sua degenza al Policlinico Gemelli, ha incontrato oltre sessanta persone che lo hanno assistito. Medici, infermieri, operatori: una rete di cura imponente, competente, affettuosa. Una notizia che dovrebbe rassicurare, e invece, dentro, qualcosa si è incrinato. Perché mentre leggevo, non riuscivo a non pensare a Charles. Charles Baffour, il giovane studente dell’Università di Cassino, morto per un’emorragia interna non diagnosticata in tempo al pronto soccorso del nostro ospedale. Morto nel silenzio di una corsia, mentre intorno a lui non c’erano sessanta persone, ma forse nemmeno sei. Morto perché, in fondo, era solo uno studente. Solo un ragazzo. Solo uno straniero.
La distanza tra queste due immagini – quella del Papa circondato da un intero esercito sanitario, e quella di un giovane che muore per una semplice TAC non eseguita – non è solo tecnica. È morale. È politica. È spirituale. È una domanda che non mi lascia: perché io sì, e lui no? Perché un essere umano riceve cure eccellenti e un altro viene mandato a casa con un dolore addominale che si rivelerà fatale?
Non sto accusando Francesco, anzi. È proprio a lui, alla sua parola, che mi appello. Al Papa che ha parlato dei “poveri come sacramento”. Al pastore che ha detto che “una società si giudica da come tratta i suoi ultimi”. E allora glielo chiedo con rispetto, ma anche con urgenza: non è il momento di dirlo forte, che la sanità non può essere un privilegio per chi ha un nome, un titolo, una funzione? Non è il momento di affermare che ogni Charles del mondo ha diritto allo stesso sguardo, alla stessa attenzione, alla stessa premura?
Nel cuore della nostra Cassino, ferita dalla perdita di questo ragazzo, resta una fiaccola accesa. Non solo quella della veglia in sua memoria, ma quella che chiede giustizia. Che chiede verità. Che chiede una sanità che non seleziona, non misura, non esclude. Perché davanti al dolore, siamo tutti uguali. O almeno, dovremmo esserlo.
Con rispetto,
Dario Nicosia
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