Cronaca - L'antico Consorzio Acquedotti Riuniti degli Aurunci rischia di portare al dissesto finanziario decine di municipi, tra vecchi debiti e nuovi contenziosi con la Regione Lazio. Il sindaco di Pontecorvo in prima linea nella battaglia. Tutti i dettagli
Il Consorzio, fondato da Mussolini nel 1941, ormai da decenni non esiste più: ma i debiti restano e i comuni continuano a spendere migliaia di euro di assistenza legale per difendersi. Adesso, addirittura, vista l'ultima diffida giunta dalla regione Lazio con la messa in mora, rischiano di perdere finanziamenti regionali e di dover addirittura dover dichiarare il dissesto finanziario.
Il tutto a causa del Consorzio Acquedotti Riuniti degli Aurunci, che, nato con l'obiettivo di gestire la risorsa idrica per circa settanta comuni tra il frusinate, il pontino e due comuni fuori regione (Rocca D'Evandro in provincia di Caserta e Conca Casale nel Molise), si è trasformato in un baratro finanziario.
La crisi è esplosa quando, nel 2003, il servizio idrico è passato agli ATO, con Acea Ato 5 e Acqualatina subentrati nella gestione. II CARA è quindi entrato in liquidazione e la situazione è poi precipitata a partire dal 2014 quando la competenza è passata alla Regione Lazio che ha deciso di recuperare i propri crediti, stimati in 24 milioni di euro per acqua non pagata dal Consorzio, direttamente dalle casse dei municipi laziali.
Questo recupero in un primo momento era stato fatto con la decurtazione dei finanziamenti dovuti ai Comuni, ma tale azione scatenò un centinaio di cause legali e ricorsi. Tuttavia, alcuni comuni, hanno messo mano alle carte bollate e sono riuscite a chiudere la vicenda: tra questi c'è il comune di Cassino che dopo un lungo braccio di ferro non compare più tra i creditori della Regione.
Ora, l'ultima tegola per i comuni è arrivata con un atto di citazione congiunto, notificato in questi giorni, che chiama in causa i sindaci. La posta in gioco è altissima, con milioni di euro richiesti e il concreto rischio di dissesto finanziario per realtà già al limite. I comuni sono stati citati a comparire davanti al Tribunale di Cassino il prossimo 28 giugno 2025. La massa debitoria che la regione Lazio chiede ai comuni ammonta a circa 23 milioni di euro e sono 41 i municipi interessati: 28 quelli della Ciociaria, 14 quelli in provincia di Latina e un ultimo in provincia di Isernia. Ogni comune ha un debito che oscilla tra i centomila euro, fino in alcuni casi a sfiorare un milione di euro.
Anselmo Rotondo, sindaco di Pontecorvo, è una delle voci più critiche e indignate anche perché il caso della città del cassinate è emblematico del paradosso: "Noi eravamo addirittura creditori nei confronti del Consorzio per dei servizi che non furono mai espletati di somme pari circa a 300 mila euro", spiega Rotondo, "adesso siamo invece diventati debitori per oltre cinquecentomila euro. Una cosa assurda!".
Argomenta il primo cittadino: "Secondo la regione Lazio rischiamo il dissesto perché sono arrivate delle diffide regionali, che noi riteniamo illegittime, per degli importi da versare entro 60 giorni altrimenti ci saranno compensazioni con finanziamenti regionali". Ovvero? Cosa significa questo per i comuni? Lo spiega sempre il sindaco della città fluviale: "Non solo perdiamo futuri finanziamenti regionali ma si va a compensazione con quelli che sono stati già assegnati. Prendiamo l'esempio di un cantiere avviato con fondi regionali, come paghiamo la ditta se la regione non eroga più i finanziamenti che ci aveva assegnato?"
Questa prospettiva bloccherebbe qualsiasi possibilità di investimento e progettualità per i comuni, mettendo a rischio servizi essenziali e la tenuta economica dei territori per questo motivo il primo cittadino di Pontecorvo ha chiesto al sindaco di Cassino, presidente della Consulta dei sindaci, di convocare una riunione apposita. In tale riunione, che si è svolta mercoledì a Cassino è stato deciso che ogni comune impugnerà tale atto della regione Lazio, inoltre, il presidente della Consulta Salera chiederà un tavolo tecnico tra sindaci, regione e ministero per cercare di mettere la parole fine sulla vicenda senza che i comuni rischino il default.
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