Piedimonte, le "cattedrali" vuote della ex Fiat cercano una nuova destinazione industriale

Economia - Tra capannoni vuoti e interesse delle multinazionali, il futuro del polo dell'automotive è un rebus. Il sindaco Ferdinandi ribadisce che il sito è attenzionato. I sindacati vogliono i fatti. Marsella: "Stellantis ha una responsabilità sociale". Gatti: "Finora solo annunci". Valente: "Il distretto del farmaceutico è a Ferentino, vedremo"

Piedimonte, le "cattedrali" vuote della ex Fiat cercano una nuova destinazione industriale
di autore Alberto Simone - Pubblicato: 30-04-2025 13:19 - Tempo di lettura 3 minuti

Da polo d’eccellenza dell’automotive a colosso industriale svuotato: il grande stabilimento Stellantis di Piedimonte San Germano, costruito negli anni ’70 su oltre 220 ettari, oggi mostra i segni evidenti di una crisi che va ben oltre la questione occupazionale. Il vero nodo, sempre più ingombrante, è quello infrastrutturale: intere aree produttive e logistico-amministrative risultano vuote, inutilizzate, in attesa di una riconversione che tarda ad arrivare.

A sollevare ancora una volta il tema è il sindaco Gioacchino Ferdinandi che, intervenendo proprio sulle nostre colonne, ha sottolineato come “lo stabilimento oggi sia troppo grande per le esigenze attuali dell’automotive: oltre la metà degli spazi è inutilizzata". Ma ora, questi capannoni vuoti potrebbero diventare il fulcro di una nuova stagione industriale. Il primo cittadino ha parlato di "riconversione"  e ha fatto sapere che l’interesse maggiore arriva dal settore farmaceutico, che “garantisce i migliori livelli occupazionali”, ma "non mancano interlocuzioni anche con aziende operanti nella difesa".

Eppure, a oggi, il grande patrimonio industriale inutilizzato resta tale. Un anno e mezzo fa, nel mese di novembre del 2023, Stellantis aveva provato a vendere alcuni dei capannoni, nonché l'intera palazzina uffici di viale Giovanni Agnelli al costi di 1,6 milioni di euro, arrivando addirittura a pubblicare gli annunci su portali immobiliari. Ma nessuna compravendita si è concretizzata, eccezion fatta per uno dei capannoni ex Itca, esterno però all’area Stellantis vera e propria, rilevato da un imprenditore dell’Alto Casertano.

Con la riorganizzazione interna, l’automotive occupa ormai meno del 50% dello stabilimento. Il resto è un enorme spazio inerte: capannoni, magazzini, uffici, piazzali. Infrastrutture nate per la grande industria automobilistica che ora sembrano fuori scala rispetto ai reali bisogni produttivi. “Non si tratta solo di capannoni, ma di intere aree e non possiamo ignorare l’opportunità rappresentata da una riconversione – ribadisce Ferdinandi – ed è un bene che anche le aziende dell’indotto Stellantis guardino con interesse a queste aree. Ma è il coinvolgimento di multinazionali del farmaceutico a far sperare in un rilancio di lungo termine”.

Le sigle sindacali osservano con attenzione e qualche cautela. Mirko Marsella, segretario provinciale della Fim-Cisl, mantiene un tono ottimista: “Non conosco i dettagli, ma qualunque nuovo insediamento è positivo. Stellantis ha ridotto gli spazi produttivi e oggi ci sono tante aree libere, è giusto valorizzarle”. Sulla stessa linea Enzo Valente, segretario generale dell’Ugl: “È vero, di solito il farmaceutico si insedia dove già c’è il distretto, che in questo caso è quello di Ferentino, Anagni o Pomezia, ma se il sindaco parla apertamente di interlocuzioni vuol dire che qualcosa si muove. Attendiamo fiduciosi”.

Più scettica la Cgil, che con Donato Gatti, già segretario della Fiom, frena gli entusiasmi: “Di annunci ne abbiamo sentiti tanti, anche sull’interesse dei cinesi per il marchio Maserati e sull’ibrido che dovrebbe partire a Cassino. Ma restano parole. Noi non siamo contrari a nuovi investitori, ma non possiamo abbandonare l’automotive: sarebbe un segnale preoccupante. Ne parleremo nel tavolo provinciale dei prossimi giorni e rilanciamo l’invito per gli Stati generali dell’automotive annunciati dalla regione Lazio".

Il quadro, dunque, è chiaro: non si tratta solo di salvare posti di lavoro, ma di ridare senso e funzione a un impianto che oggi appare sovradimensionato e sottoutilizzato. Il rischio è che si trasformi in un’enorme cattedrale nel deserto, simbolo di un’epoca industriale che non ha ancora trovato una via di trasformazione concreta.

La riconversione resta, almeno sulla carta, l’unica strada percorribile. Ma servono tempi rapidi, perché ogni giorno che passa è un’occasione persa per riportare vita e lavoro in una delle più grandi aree industriali del Lazio e probabilmente del Paese intero: non è un caso, come ha detto il sindaco Ferdinandi, che quello di Piedimonte “è tra i 5 siti maggiormente attenzionati dalle multinazionali del farmaceutico”.





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