“La Stozza Cassinese”: pretesto prezioso di incontro e convivialità genuina

Cultura - Assaggiando l'anima di una città martire, si riscoprono le radici di una comunità che attraverso il cibo celebra la vita, la memoria e l'urgenza della pace. Oltre il sapore, il rito contadino che unisce generazioni e rinnova la speranza in una Cassino resiliente

“La Stozza Cassinese”: pretesto prezioso di incontro e convivialità genuina
di autore Grazia Maria Sacco - Pubblicato: 09-06-2025 14:32 - Tempo di lettura 3 minuti

Ad alcuni eventi o oggetti è arduo darci un nome, perché le parole non hanno sempre un potere pienamente descrittivo, ad alcune sfuggono quelle sfumature che poi, a rifletterci bene, diventano l’essenza. 

Ti ritrovi così, in una domenica assolata, catapultata in una giuria di assaggiatori,a disquisire di forme di “stozze”, del pane più o meno unto del sapore di melanzane o peperoni; di odori che esalano forti e robusti e di palati che si deliziano, ma in realtà, a quel tavolo, con persone affezionate alla manifestazione da anni, o altre intente a servire le portate, scientificamente sporzionate e servite con sincera devozione, si parla di ben altro.

Franco mi racconta che la prima osservazione da fare, a quelle stozze che ci sfilano dinanzi, tentandoci con il contenuto che vi si intravede e l’odore che sprigionano, riguarda la loro forma: deve essere schiacciata, per consentire di mangiare con gusto ed entro tempi relativamente “brevi” quella merenda che i contadini si portavano dietro nei campi, attorno alla quale, in un momento di riposo, al fresco, sotto un albero, si creava la condivisione vera, fra il fischiettare di una canzone popolare e i commenti alle notizie locali.

Vita quotidiana che si nutriva del dialetto, la lingua svelta che scivolava senza fronzoli sopra le cose, fotografandone il senso  nel modo più viscerale che potessi esserci: non a caso le stozze che siamo chiamati a giudicare, come ci dice l’organizzatore e promotore della manifestazione Antonio, hanno tutti nomi dialettali, a richiamare le tradizioni del passato, un modo di dire , un proverbio o un intercalare.

Nella stozza c’è il fermento di quella vita che si è misurata con le difficoltà del dopoguerra e i sacrifici della ricostruzione: quella che scottava sotto al sole e sapeva alleggerire la fatica creando attorno al cibo un vero e proprio rito, che radunava diverse generazioni.

Non a caso oggi , fra un assaggio e l’altro, intervallato dalla simpatia dei presenti, ognuno a dare la sua pennellata di colore all’evento in corso ( Maurizio che ci racconta e ci fa vedere tutti i film e le fiction in cui ha recitato; Bruno, che se chiudi gli occhi, mentre canta lo confonderesti con Renato Zero; Speranza che ha cucinato per un esercito, tutta orgogliosa della sua arte culinaria; Maria Teresa che è la prima ad impugnare il microfono e l’ultima ad abbandonare la pista, Rosanna che sparge ovunque la sua leggiadria da eterna ragazza), mi sono venute  in mente le giornate di potatura della vigna o di mietitura del grano, in campagna, dai miei nonni, quando mi sedevo sulle ginocchia degli anziani per sentirne le storie, che finivano sempre con un anelito di saggezza o una chiosa saporita, a lasciarti di stucco per come fosse possibile condensare in così poche battute, “una vita intera”.

Ed era il dialetto a farla da padrone, come oggi mi sono estasiata a sentirne l’eco costante; ad ascoltarlo snocciolato nelle conversazioni, finanche nel ritrovartelo esploso nelle risate finali; sarà come dice Erri De Luca del suo dialetto napoletano, ma che vale per i dialetti in generale: se la lingua italiana crea, a volte, una distanza, è la lingua della riflessione e della mediazione, ed oggi anche delle parole fin troppo soppesate e misurate sotto il male del secolo, chiamato “politico corretto”, è il dialetto , e soltanto lui, che riesce a trasmettere una sensazione di immediatezza ed autenticità.

Diventa, così, preziosamente, un ponte con le tradizioni e le storie delle città natali; un’espressione della nostra identità ed un mezzo per comunicare la visione del mondo: quest’ultima affonda le sue radici , inevitabilmente, nella esperienza di guerra, che ha portato a raderla al suolo, di Cassino: tanto da meritarsi l’appellativo di “Città martire per la pace” e la Medaglia d’oro al Valor militare: perciò oggi , Antonio, ha voluto sottolineare, prima di dare l’avvio all’assaggio ufficiale delle pietanze, che mantenere vive le tradizioni significa essere capaci di attualizzarne il messaggio sotteso alle stesse; significa onorane la saggezza e mostrarne tutto il potere persuasivo di cui sono capaci soltanto qualora se ne coltiva la memoria.

L’evento, quindi “Stozza Cassinese”, organizzato dall’Associazione “Vecchia Cassino”, è stato dedicato e pensato anche per lanciare una speranza di pace e di cessazione di tutti i conflitti armati, con lo sguardo pieno di sdegno e di dolore per ciò che, in particolar modo, sta accadendo nella Striscia di Gaza, ove sono in atto veri e propri crimini contro l’umanità , in dispregio dei diritti umani, barbaramente e crudelmente violentati.

Oggi, quindi, non è stata semplicemente la celebrazione della “Stozza Cassinese”, ma la stessa è diventata pretesto per celebrare la resilienza della gente della città, la sua capacità di conservarne la storia e di creare connessioni capaci di unire intere generazioni: perché mai come adesso abbiamo bisogno di quei punti fermi che ritroviamo soltanto in domeniche assolate di rara autenticità, come quella appena trascorsa.





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