Rubriche - Dai braccianti agli eterni precari: troppo spesso, purtroppo, lavorare significa essere sfruttati in ambienti senza tutele, in spregio alle più elementari norme giuslavoristiche, in assenza di diritti e con soli doveri
Troppo spesso, purtroppo, lavorare significa essere sfruttati in ambienti senza tutele, in spregio alle più elementari norme giuslavoristiche, in assenza di diritti e con soli doveri.
È il caso dei numerosi braccianti agricoli che, ogni giorno, attendono l’arrivo del caporale per essere condotti nei campi dove restano anche per dodici ore continuate e alcuni non torneranno mai più a casa.
Satnam Sigh, morto al San Camillo, il 19 giugno scorso è uno di loro. Il datore lo ha abbandonato dinanzi alla propria abitazione con un braccio tagliato e una gamba rotta. Agghiacciante il particolare del braccio mozzato nella cassetta della frutta. Non l’unico, non l’ultimo purtroppo. Il tutto nell’indifferenza generale, o meglio, nel clamore mediatico nei giorni immediatamente successivi alla tragedia cui segue il silenzio assordante una volta spenti i riflettori.
Dove è lo Stato? Resta inerme. Ma d’altronde cosa ci si può aspettare da quello Stato che contribuisce a creare precariato con concorsi a tempo determinato persino nella pubblica amministrazione.
Basti pensare ai milioni di precari nella scuola che per decenni sono costretti ad attendere “la chiamata” annuale vivendo senza certezze in una profonda instabilità professionale e personale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: una profonda demotivazione cui segue una decadenza del sistema scolastico- culturale.
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